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Architettura+grafica=Giulio Vesprini.

Architettura+grafica=Giulio Vesprini.

Giulio Vesprini è marchigiano, eclettico e magnificamente vivace. Noi lo amiamo per il suo tratto più che riconoscibile nell'ambito dell'arte urbana italiana, unito ad una indiscutibile capacità organizzativa. Collaborare con lui per noi è sempre un grande piacere.

Il rapporto e le interconnessioni tra architettura e graphic design caratterizzano la tua ricerca e la tua espressione artistica. Quali sono i più recenti studi o passi che hai compiuto?

Studiare, analizzare, comprendere il rapporto tra architettura e grafica è al centro della mia ricerca ormai da anni. Nel tempo ho potuto raccontare questi studi in molte occasioni d’incontro, soprattutto nelle scuole, dove lavoro da qualche anno e nelle quali ripongo la mia più grande speranza di riscatto culturale in Italia.

In questi mesi ho raccolto gli appunti, le foto, le intuizioni, gli schizzi e le interviste che riguardano il mio lavoro in strada analizzando i contesti degli interventi e mettendo al centro la mia esperienza, ma anche quella di interi quartieri in Italia in cui ho lasciato un segno della mia arte.

Emerge una visione dell’arte urbana che ho vissuto in prima persona, utile in certi contesti ma pressoché banale e debole in luoghi dove le urgenze non possono risolversi solo con un bel muro dipinto. Vorrei raccontarli in una mostra quasi teorica o, chissà, magari con una bella pubblicazione.

I tuoi pattern sono un esempio concreto anche di multidisciplinarietà e di una logica ideativa multilayer.

Oggi fare rete è indispensabile anche nel mondo dell’arte e soprattutto in quello della comunicazione. Unire le competenze attraverso stratificazioni continue di esperienze, stili di vita, culture è necessario al progresso socio-culturale del nostro paese.

I pattern che ho studiato nel tempo rappresentano questo sviluppo, fatto di tante tecniche grafiche fuse su più livelli, che conservano la loro origine di produzione ma veicolano nuovi messaggi perché sanno dialogare con l’innovazione.

Il porto di Civitanova Marche che hai curato o, in generale, la scena marchigiana che ti riguarda: novità o sviluppi, giudizi e sensazioni.

"Vedo a Colori" è un progetto che compie dieci anni proprio nel 2019. È frutto di un lavoro molto lungo, di devozione e passione verso la disciplina della Street Art difesa dalle più “moderne” interpretazioni “curatoriali”, in cui business e speculazione la fanno da padroni. Per questo decimo anno ho pensato a una serie di iniziative legate alla città e al progetto del porto. Il documentario, la seconda mostra fotografica, il secondo volume del lavoro sono solo alcune delle azioni in programma per far risplendere l’area portuale ed inserirla nell’ampia offerta culturale della Regione Marche.

Ci sono poi realtà in forte crescita: penso alla rinascita di Ancona sotto il profilo culturale o anche realtà più piccole che cercano nell’arte le giuste operazioni di riscatto. La mia terra è costituita da grandi imprese e lavoratori instancabili ed un certo controesodo mi fa ben sperare per un completo e consapevole rilancio. La strada è ancora lunga e il tempo per approssimare o azzardare imprese faraoniche è finito; non basta l’intuito, oggi serve disciplina, costanza e coerenza nel proprio lavoro, come è successo a noi di "Vedo a Colori", che raccogliamo oggi i primi frutti di un processo con una storia decennale.

Lavori spesso in altre città, come ad es. Roma e Torino: che giudizi ti senti dare, nello specifico, sulla situazione creativa della street art italiana, sia dal punto di vista degli autori che dei fruitori, passando per l'atteggiamento delle istituzioni e dei committenti?

Roma, Torino ma anche Bologna sono tra le mie città preferite, dove ho lavorato molto e creato alcuni dei mie lavori più belli. Sono città dense e piene di nuove occasioni di crescita. Tra queste attività la ormai matura Street Art, che è ovunque, dalle pubblicità alle scuole, dai festival ingessati alle mostre in galleria e fortunatamente la troviamo anche di notte! Tutti oggi fanno, parlano e operano nella Street Art, a volte con ottimi risultati frutto del metodo e della preparazione, altri casi invece non lasciano che il deserto e spesso peggiorano situazioni già al limite in partenza.

Le istituzioni hanno compreso la strategia di alcune azioni presentate e vendute come riqualificazioni urbane ma che di riqualificazione hanno ben poco: spesso credono che un bel muro dipinto sia sufficiente a ristabilire armonia in un quartiere che al contrario necessita di una forte rigenerazione sociale che non può passare solo attraverso l’arte urbana.

Credo che le amministrazioni, oggi più che mai, debbano farsi affiancare da figure professionali preparate, possibilmente attive nel campo dell’arte urbana; esperte non solo dal punto di vista teorico ma che possano portare una visione a più livelli del recupero urbano.